L’arcibizzarro
Roma. È sempre lei, Sylvia Ferino Pagden, già direttore del Dipartimento di pittura al Kunsthistorisches Museum di Vienna e grande esperta di Arcimboldo (Milano, 1526-93), la curatrice della mostra «Arcimboldo. L’altro Rinascimento» che la Galleria Nazionale di Arte Antica propone sull’artista rinascimentale milanese (catalogo Skira), dopo le rassegne a lui dedicate a Milano nel 2011 e la recente mostra di grande successo al National Museum of Western Art di Tokyo chiusa lo scorso 24 settembre. Sono rare tuttavia le mostre dedicate a questa eccentrica figura d’artista, perché è difficile ottenere i prestiti delle poche opere del maestro giunte fino a noi, un centinaio in tutto.A Palazzo Barberini, dal 20 ottobre all’11 febbraio (la mostra è gratuita fino ai 18 anni), sono riuniti per la prima volta a Roma molti dei pezzi più celebri di Giuseppe Arcimboldo, «pittore raro, e in molte altre virtù studioso, e eccellente; e dopo l’aver dato saggio di lui, e del suo valore, così nella pittura come in diverse bizzarrie, non solo nella patria, ma ancor fuori, acquistasse gran lode», come scrisse di lui l’amico gesuita e storico milanese Paolo Morigia. Ma Arcimboldo, riscoperto negli anni Trenta del Novecento con gran successo negli ambienti delle avanguardie storiche, nonostante le sue notissime e davvero stravaganti teste composte da frutta, fiori, rami, foglie, radici, libri, oggetti, pesci e animali vari, non nasce dal nulla ma si inserisce in un filone ben presente nel Rinascimento soprattutto privato, scherzoso, grottesco. Basti pensare alle caricature di Leonardo tanto diffuse a Milano o alla celebre «testa de cazi», piatto in maiolica del 1536 di Francesco Urbini, a cui si affianca un profondo suo inserimento nel mondo delle scienze naturali attestato dagli studi più recenti. La mostra accosta ai suoi capolavori più noti, come le tele con le Stagioni, gli Elementi, «Il bibliotecario», «Il giurista», «Il Priapo (l’Ortolano)», «Il Cuoco», i ritratti da lui eseguiti alle corti di Vienna e Praga, i disegni acquerellati di giostre e fontane, ma anche dipinti e copie arcimboldesche, opere di colleghi, oggetti da Wunderkammer imperiali, da botteghe numismatiche e di arti applicate, disegni di piante, frutta, animali, di cui all’epoca si faceva gran studio e catalogazione. La fama e il successo presso le maggiori corti europee furono tali che al suo rientro a Milano (1587) l’imperatore lo nominò conte palatino, riconoscimento eccezionale per un artista. ...